“Make way for tomorrow” di Leo McCarey (1937)

Uno dei film più asciutti che abbia mai visitato. Non sembra proprio una commedia americana. La storia è dura e delicata, specchio degli Stati Uniti negli Anni Trenta, una società arida camuffata da signora gentile ed elegante.

Un uomo anziano perde il lavoro e così deve abbandonare la casa e separarsi dalla moglie. Lui andrà a vivere dalla figlia mentre lei sarà ospitata dal figlio più grande. Make way for tomorrow è una commedia drammatica. Lacrime e risate si sfiorano. La vita da separati di Pa e Ma è dura. Non riescono a inserirsi nel tran-tran quotidiano delle famiglie che li ospitano. Sono percipiti come delle zavorre da chi sta intorno a loro. Rimangono attaccati all’esistenza letteralmente atraverso un filo: il filo del telefono, a cui Ma parla con dolcezza e speranza. La voce per noi inascontabile è fonte di amore – lo si legge dai suoi occhi e dagli atteggiamenti del suo corpo – e la allontana per degli attimi tenerissimi da una situazione inaspettatamente disumana.

I due anziani, nelle case dei propri figli, sono degli esseri sotto osservazione. Sembra che su di loro si stia intentando un esperimento. Gli altri li trattano come se fossero di una natura differente rispetto agli altri umani. Pa e Ma sono due esseri da compatire ma non troppo, visto che la loro vita è una storia eccezionale e non riguarda davvero tutti quanti. Il film è spietato nella sua prima parte, un moderato e inesorabile ragionamento che mette in stato d’accusa la famiglia. L’unica figura che accompagna Pa nel suo viaggio separato è il venditore di giornali Max Rubens, interpretato da Maurice Moskovitch. La sua bottega non è America ma vecchia Europa: un luogo intimo riscaldato da una grande stufa di ghisa al centro della stanza. Max e la moglie, della quale si assicura l’esistenza chiamandola con preoccupazione dopo avere ascoltato la storia di Pa, sono le uniche voci veramente umane: il loro accento dell’Europa dell’Est è pragmaticamente distante dalla pantomima delle premure amorevoli che ogni giorno s’inscena nella società americana.

L’opera rovescia i cliché della commedia dei buoni sentimenti e smaschera la gente per bene che rinnega il padre e la madre. Avendo saputo che Pa sta male, Max va a trovarlo a casa della figlia ma la donna lo ferma sulla soglia, adducendo la scusa che il medico ha dato ordine di non ricevere visite. Magistralmente la cinepresa arretra e mostra l’attaccapanni accanto alla porta. Il medico, terminata la visita, sbugiarda la figlia di Pa prima di uscire cedendo il passo al bottegaio. Quando Pa vede entrare Max nella stanza con un pentolino di brodo di pollo che la moglie aveva cucinato per lui, s’illumina. Le affinità elettive vanno oltre i legami famigliari, che spesso sono delle trappole al lacciuolo dalle quali si deve sfuggire con risolutezza usando le armi dell’astuzia.

Anche per Ma le cose non vanno bene. Il figlio l’accoglie in una casa confortevole, la governante si occupa delle faccende domestiche ed a Ma non resta altro da fare che assistere alla loro vita di lusso ricamando e aspettando la svolta. È sicura che Pa troverà un lavoro e così potranno riunirsi, ma tutti sanno che quello che spera è impossibile: Pa è troppo vecchio per essere assunto da qualsiasi ditta. Solo la nipote diciassettenne avrà l’incoscienza civile necessaria per dirle la verità, presa dalla sua bellezza in fiore e pronta ad offendere disinteressatamente chi le aveva dimostrato lealtà nelle questioni d’amore.

Così straziante è la sequenza della telefonata di Pa, che Ma riceve dando le spalle a una riunione di giocatori di bridge. Gli astanti interrompono il gioco. Guardano il suo cappotto, il suo cappellino, lei ancora vestita dopo il rientro dal cinema con la nipote che l’ha usata per organizzare un incontro galante. Ascoltano e comprendono il suo dramma. Tutti i ricconi in smoking, tutte le dame in abito da sera, sono partecipi della scena, ma nessuno alzerà nemmeno un dito per darle una mano. Ancora più crudele è il momento in cui il figlio deve annunciare alla madre la decisione comune di mandarla in una casa di riposo. Lei aveva già letto l’intestazione della busta con il nome dell’istituto e perciò anticipa il figlio facendo ricadere su di sé la decisione di ritirarsi in una residenza per donne anziane.

Anche Pa sta per essere mandato in California con la scusa del clima migliore per la sua salute. Prima della partenza la coppia riceve in dono un pomeriggio di libertà e lì, seduti su una panchina al parco come farebbero due anziani, si apre uno spiraglio di luce che si allarga e si allarga fino a divenire un colpo di scena radioso. Prima di salutarsi si fermano davanti a un autosalone e il venditore li invita a fare un giro con una macchina. Da quel momento, accettando di salire, entrano nel mondo dei sogni e dei desideri: l’universo amoroso. Il venditore diventa un genio sorridente e l’automobile è un tappeto volante che attraversa velocemente lo spazio e il tempo per portarli davanti all’albergo dove avevano trascorso la luna di miele cinquant’anni prima.

Nel salone d’ingresso sfavillante la realtà è rovesciata. Sono ben accolti alla reception e il direttore offre loro la cena tenendogli compagnia. Anche l’orchestra è al loro servizio e cambia il motivo musicale quando li vede entrare nella pista da ballo. La loro discrezione ha trovato dimora. Finalmente l’amore gentile si rinnova, ogni minimo gesto che per cinquant’anni si era ripetuto in un’intesa silenziosa, fino all’ultimo bacio davanti al treno in partenza come farebbero due giovani al momento dell’addio.

Il film ha come protagonisti due anziani, ma non è una storia sulla terza età. È piuttosto una storia sull’amore puro e su come esso sia ostacolato e osteggiato nella vita moderna. L’amore è contro il dinamismo a ogni costo. Ti lascia sazio e felice. Non ti serve null’altro per superare le asperità della vita. La massima aspirazione è sedersi l’uno accanto all’altra per sorridere e giocare con gli sguardi come in un vecchio film muto. Tutto il resto lo si fa per preparare quel momento d’oro.

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